cronache e opinioni

Vita maledetta

Recensioni del film "Il suo nome è Tsotsi"

Scusa e grazie

“Per vivere come un cane non è meglio che la fai finita?”.
Ecco una delle frasi più significative del film di Gavin Hood “Il suo nome è Tsotsi”.
Una storia alquanto commovente quella di un giovane ragazzo, abitante del Sudafrica, che vive in una vera e propria bidonville.
Tsotsi, il protagonista, si presenta come un poco di buono, un assassino, un bullo, ma che nel profondo dimostra di avere un cuore. Il suo essere cattivo e duro è dovuto a un trauma familiare subito durante l’infanzia. David, questo è il suo vero nome, nasce in una famiglia che non si può di certo definire benestante e unita.
La madre, che verrà colpita da una grave malattia, dimostra di avere un grande affetto per il figlio, un affetto che non è per niente dimostrato dal padre.
Tsotsi, in seguito a un brutale episodio, scappa di casa e va a vivere per strada, sistemandosi “alla meglio”. Egli avverte profondamente la mancanza di una famiglia e lo fa ben notare in molti dei suoi comportamenti. Qualcuno nella sua vita darà una svolta significativa, qualcuno a cui si affezionerà molto, che lo farà cambiare e che per la prima volta gli farà dire scusa e grazie.
Tutto sommato un bel film, in grado di colpire lo spettatore e che potrebbe far cadere qualche lacrima.
Un film, però, che, come tutti gli altri, ha dei punti deboli. La scenografia non è delle migliori; alcune scene, come la caduta della pioggia e dei lampi, sono visibilmente montate. Alcune scene sono eccessivamente dure e all’interno del copione è presente qualche parolaccia di troppo. Anche la recitazione ha dei punti deboli, alcune scene sono troppo inverosimili: si può essere sul punto di morire e accennare soltanto pochissimi segni di paura?
Queste, però, sono delle sfumature che non condizionano eccessivamente la bellezza del film.
Va fatta una riflessione molto importante su una parola significativa, forse la più di tutte, pronunciata durante il film: decenza.
Alcuni non sanno neanche cosa voglia dire e il film riesce a spiegarlo bene. La decenza, infatti, viene definita come “il rispetto (prima di tutto) per se stessi”; ma viene anche specificato che, in quella società, di decenza ce n’è ben poca.

Giulio Palmas, II B ped.

Tsotsi = gangster. Ma sarà vero?

Tsotsi è un delinquente impavido e senza emozioni che vive alla giornata, non esitando a uccidere a impulso. Quando gli vengono fatte troppe domande reagisce spesso con una violenza senza scrupoli.
Dopo aver brutalmente rubato una macchina, Tsotsi si sorprende nel trovare, sul sedile posteriore, un neonato che piange. Presto, il bambino risveglia in lui memorie dolorose della sua infanzia: la sua esposizione alla violenza del padre e la sua vita passata nei grandi tubi di cemento con altri bambini sfortunati, come lui. Inizialmente Tsotsi nasconde il neonato nella sua casa, nella baraccopoli di Johannesburg, lontano dai suoi amici delinquenti, ma più tardi lo trasporta in una busta della spesa dovunque vada. Tuttavia l’incapacità di Tsotsi nel prendersene cura lo costringe a seguire una ragazza vedova a cui ordina, con la pistola, di allattare il “suo” bambino.
Il film descrive bene l’ambiente duro e scuro che circonda Tsotsi e la vita di povertà tremenda che conduce.
Tsotsi realizza una nuova prospettiva sulla vita, che lo trasforma, aiutandolo a definire chi veramente è, e generando in lui un desiderio di fare del bene e avviarsi verso la restituzione del bambino. Ci riuscirà?
Molto interessante in questo film è lo sviluppo del carattere; inizialmente vediamo un ragazzo impulsivo e violento che è svelto nell’agire e nel fuggire dalle conseguenze delle sue azioni. Vediamo piano piano l’evoluzione di Tsotsi in un individuo più maturo che basa il suo comportamento sulla ragione piuttosto che sull’impulso.

Susanna Cuscusa, II B ped.

Vita maledetta

Un film di: Gavin Hood
Genere: drammatico

Tratto da un romanzo del sudafricano Athol Fugard, il film racconta una storia del tutto emozionante.
Come tanti bambini del Sud Africa alla periferie delle grandi città, che crescono per strada senza una famiglia o – nel caso del film – in campagna al riparo di tubi di cemento abbandonati, anche il nostro protagonista ha vissuto parte della sua giovinezza in questo modo. Una volta cresciuto, Tsotsi si ritrova a vivere in una baraccopoli e a far parte di una banda di ragazzi che pensano a se stessi e a cercare soldi, rubandoli, senza pensare alle conseguenze per se stessi e per gli altri. Qualcosa nella vita di Tsotsi cambierà e si renderà conto che dalla vita ci si può aspettare di tutto…
Da questo film ci possiamo aspettare che il protagonista parli e che faccia immensi discorsi, ma caso vuole che il nostro Tsotsi parli soprattutto tramite gli occhi; questa scelta del regista può sembrare un po’ azzardata, ma si è rilevato molto efficace, perché fa pensare e hai la possibilità di immedesimarti meglio nelle vicende, e in quello che il protagonista prova dentro di sè in determinate situazioni (ottima interpretazione di Presley Chweneyagae nel ruolo di Tsotsi).
Non conosco altri film di questo genere e se l’avessero trasmesso in tv, forse, non lo avrei visto, ma mi sarei persa un film bello, pieno di emozioni e soprattutto un film molto adatto per le persone che provano compassione per gli altri e che sono altruiste, perché questo film ti regala immense emozioni. Il film è accompagnato da una musica di tensione che ti tiene con il fiato sospeso fino all’ultima scena.
Si possono dare varie interpretazioni del senso di questo film, dicendo che, forse, è stato girato per farci capire che molti problemi non capitano solo alle persone che vivono nelle grandi città ma anche a quelle che vivono nelle baraccopoli e sono ignorati, e non si pensa che nel loro passato si nasconda un’infanzia atroce, vissuta senza affetti familiari; infatti il punto fondamentale di questo film può essere la famiglia, perché, se ci pensiamo bene, questo ragazzo se avesse avuto una famiglia che lo avesse istruito e amato avrebbe fatto quello che ha fatto? No, quindi noi molto spesso ci lamentiamo di avere dei genitori troppo all’antica, che non ci fanno fare nuove esperienze e noi ci lamentiamo sempre, ma se facciamo un’osservazione accurata forse ci accorgiamo che se non avessimo avuto una famiglia che ci sostiene sempre e che ci dà vitto, alloggio e amore noi saremmo come questo ragazzo che fa le cose senza pensarci e che non immagina che anche altre persone possano soffrire per le sue cavolate.
Quindi dobbiamo essere grati di quello che abbiamo.

Roberta Zucca, II B ped.

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